L’opera non è nostra ma del Signore
In occasione della Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra domenica 24 ottobre, pubblichiamo le testimonianze di don Luca Baraldi e Camilla Lugli, rispettivamente in servizio in Canada e in Albania. Insieme, avevano ricevuto il mandato missionario dal Vescovo Erio Castellucci lo scorso 25 aprile, nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Diocesi di Mackenzie Fort Smith (Canada) villaggio di Gaméti
Cari amici del Centro Missionario Diocesano, so che, come ogni anno, vi state impegnando in modo speciale nel mese di ottobre, per sostenere la sensibilità che tante persone hanno, di apertura alla mondialità ed all’opera missionaria. Per la prima volta vi scrivo come prete fidei donum della nostra Chiesa a quella dei Territori del Nord-ovest del Canada, col desiderio di condividere con voi i primi passi del servizio qui. Per me l’inizio del mese missionario ha coinciso con l’arrivo in una delle comunità che, in team con Fatima (una laica missionaria della diocesi di Toronto), seguiamo pastoralmente: Gaméti.
Si tratta di un villaggio costruito su di un’isola, circondato da laghi, piccole montagne di granito e sterminati spazi ricoperti da cespugli e piccoli alberi. Non ci sono strade per arrivare, se non una realizzata sulle acque ghiacciate utilizzabile fra gennaio e marzo. I piccoli aerei di linea, che trasportano cose e persone, possono atterrare sulla pista in terra battuta solo se la nebbia non è troppo fitta, mancando radar ed altri supporti tecnologici: per cui si può parlare di una comunità veramente remota.
Gaméti appartiene alla regione Tlicho, un’area omogenea per cultura tradizionale e lingua. Fino a 60 anni fa qui erano cacciatori e pescatori seminomadi che, pur stabilitisi in piccoli villaggi sperduti, hanno conservato antiche abitudini. Negli anni il governo federale canadese ha sostenuto con molti fondi queste persone, anche se non mi pare si sia mai concretizzata una reale armonizzazione fra la cultura occidentale e quella indigena, il ché ha causato e causa molti problemi e disagio sociale e personale: abuso di alcool, di sostanze, violenze… In più la scolarizzazione media è piuttosto modesta, per cui ne viene un quadro sociale che, mi pare, sia piuttosto eloquente del concetto di periferia di cui parla Papa Francesco.
In tutto questo stupisce, però, l’affabilità dei modi con cui molti ci hanno accolti.
Anche la presenza della Chiesa qui risulta abbastanza frammentata. Sebbene la prima evangelizzazione delle popolazioni di lingua e cultura Tlicho da parte dei missionari OMI risalga agli anni 40/50 del 1900, tuttavia nel tempo non è stato possibile garantire una continuità di formazione dei fedeli (la messa spesso era celebrata appena tre o quattro volte all’anno), così che la situazione attuale è piuttosto particolare. Ci sono alcuni anziani, la cui religiosità è espressa da devozioni dal sapore un po’ preconciliare, unite a pratiche tradizionali ed una grande parte del resto della popolazione che fatica a trovare qualcosa nella Chiesa, vista la mancanza di una reale continuità sacramentale e di annuncio.
La scommessa che il Vescovo Jon Hansen ha in mente è quella di far rinascere un tessuto comunitario che permetta a tutti i battezzati di investire i talenti personali in una rinnovata responsabilità verso gli altri, alla sequela di Gesù.
E per questo io e Fatima siamo qui: fare un cammino sinodale di coinvolgimento e partecipazione. Ce la faremo? Non lo so… e poi l’opera non è nostra ma del Signore.
In ogni modo una cosa mi fa ben sperare, forse una sciocchezza. Qui, ad una latitudine vicina al circolo polare artico, il tempo cambia in modo inatteso con grande rapidità, offrendo luci, colori e panorami la cui varietà sembra infinita. Così credo farà lo Spirito: soffierà e donerà sguardi insperati e bellezza nuova ai figli di questa terra ed a tutti noi.
Un caro saluto e buon ottobre missionario.
Vostro Don Luca Baraldi
Vau i dejes (Albania) – Casa della Carità
Eccomi, vi vorrei raccontare questa esperienza e la realtá – Casa della Carità a Vau i dejes, che accoglie disabili e anziani, ndr – in cui sto vivendo, ormai da un mesetto, in maniera differente. Proverò ad entrare nella testolina di Pashku l’ospite più piccoletto che ha nove anni. Ovviamente è la mia percezione sicuramente i pensieri e le descrizioni di Pashku saranno più spensierati, forse più dolorosi e sofferenti ma anche molto più divertenti.
“Essere o dover essere Il dubbio amletico contemporaneo come l’uomo del neolitico”. Quando sento l’inizio di questa canzone, mi viene automaticamente il mio solito sorrisetto da furbetto. Intanto colgo l’occasione e mi presento, sono un bimbetto piccolo (ancora per poco, cresco a vista d’occhio), mattarello, canterino e tanto bellino. Lo so non lo direste mai, ma in questa casa della carità, dove vivo insieme a delle stravaganti suore, ascoltiamo spesso le canzoni di Francesco Gabbani, soprattutto dopo pranzo e dopo cena, mentre suor Rita mi dà da bere. Devo ammettere che la faccio un po’ arrabbiare, a volte non apposta, a causa di qualche dolorino e per i miei muscoli pazzerelli che faccio fatica a controllare, ma altre volte mi diverto proprio. Ovviamente non vivo solamente con le suore, in tutto siamo sei ospiti più i volontari e tutti quelli che ci vengono a trovare e ad aiutare. Il paesino in cui viviamo si chiama Vau i dejes si trova a nord ovest dell’Albania. Lo conosco bene perché amo fare tante passeggiate, sono un osservatore mi piace salutare e mandare baci.
Rejina è stata la prima ospite della casa, ha tagliato il nastro nel momento dell’inaugurazione nove anni fa. Anche lei è una pazzerella ricciola, mi distrae quando fatico a mangiare, mi fa impazzire e divertire quando fa il balletto della bella lavanderina e quando interrompe quello che sta facendo, per venirmi
a cantare l’Ave Maria al suono delle campane. Lei ha sofferto molto in questo periodo di pandemia perché le piace stare in mezzo alle persone. Nonostante questo Rejina durante la giornata riesce a creare dei momenti in cui strappa un sorriso a tutti. Poi come ho detto prima, oltre agli ospiti ci sono anche i volontari, che vengono ad aiutare. Ci sono le signore che al mattino vengono a pulire, quando arriva Gina impazzisco di gioia, è molto materna con me. Poi c’è monsignor Simon Kulli che viene tutti giorni a celebrare la messa. Ogni giorno viene Izmir a farmi un’ora di fisioterapia. Spesso appare don Mark che si preoccupa di non farmi uscire quando c’è troppo vento. Ci sono Lisa, Pascka, Tona, Marta, Esterina, Florinda, Mariana e tanti altri che ci aiutano e ci sostengono. In questo periodo suor Maria è ritornata in Italia, però suor Rita non è rimasta da sola, sono arrivate Camilla e suor Teresa. Suor Teresa è altissima, per guardarla devo proprio alzare gli occhi in cielo. Invece Camilla è bassetta, un po’ svampita e lenta a vestirmi, prima di beccare il verso giusto dei miei pantaloni e poi infilarmeli ce ne vuole, però ha margini di miglioramento.
Infine, suor Rita mi cambia dieci volte a giorno perché sudo e non vuole che prenda freddo, mi riempie di pezze e foulard mi fa sembrare un lord. L’altro giorno, che ridere, io stavo tornando dal mio giretto con Camilla, l’abbiamo sgamata che stava scappando nascondendosi tra gli alberi perché non voleva che vedessi che stesse andando a messa senza di me. Ma io l’ho vista subito anche grazie a Camilla che le è andata incontro pensando che fosse un gioco.
Concludendo ritorno in me, e vi ringrazio perché nonostante, soprattutto all’inizio sia stato abbastanza faticoso, poiché i ritmi sono intensi, e lo sapete che io sono pigra e poco concreta, voi mi donate la forza di un bufalo. “Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”. Te Deum.
Camilla Lugli
Il testo integrale della lettera di Camilla su https://solmiss.wordpress.com/